da Walter Pasini | Dic 8, 2014 | Malattie, Rischi non infettivi
I viaggi di lunga percorrenza possono comportare rischi legati alla prolungata immobilità (malattia trombo-embolica), allo sfasamento orario (Jet Lag) e alla possibilità di contrarre una malattia infettiva trasmessa per via aerea. Le condizioni di ipossia della cabina aerea possono nuocere a persone portatrici di patologie croniche a carico del cuore e dei polmoni.
Le eventuali esacerbazioni e complicazioni di patologie croniche sono da mettere in relazione ai cambiamenti di pressione, umidità e concentrazione di ossigeno in cabina e alla fatica e allo stress psicofisico legato alla lunga percorrenza. Ne deriva indirettamente che vi possono essere condizioni cliniche che con- troindicano il viaggio aereo, come nel caso di patologie cardio-vascolari (infarto miocardico recente, angina instabile, cardiomiopatie restrittive o dilatative, scompenso cardiaco, ictus cerebrale recente, ipertensione arteriosa non controllata), malattie polmonari acute o croniche (polmoniti, enfisema polmonare severo, cancro polmonare), anemia falciforme, malattie tumorali in fase critica. Eventuali riacutizzazioni sono legate alle condizioni di ipossia, dato che le pressione di ossigeno in cabina è equiparabile a quella esistente a 1800-2000 metri di altitudine.
Possono nuocere anche le condizioni di secchezza dell’aria in cabina dato che l’umidità è di solo il 10-20%. I pazienti che hanno subito interventi recenti di chirurgia addominale, intraoculare, ostetrico-ginecologico, polmonare devono consultare il loro medico prima di partire considerando la possibilità di intrappolamento di aria nei visceri. Le persone che fanno uso di bombole di ossigeno devono informare con almeno 72 ore di anticipo questa loro esigenza alla compagnia aerea.
In volo si possono presentare stati patologici e anche vere e proprie emergenze, il più grave delle quali è senz’altro l’arresto cardiaco per una fibrillazione ventricolare. Il personale di bordo deve essere preparato a fronteggiare la situazione praticando il massaggio cardiaco e la ventilazione polmonare ed anche la defibrillazione, posto che l’aereo disponga di un defibrillatore. L’aereo dovrebbe disporre anche della ma- schere per la ventilazione respiratoria, di farmaci per il trattamento delle emergenze (epinefrina, lidocaina, atropina). Altre emergenze possono essere date da addomi acuti, sincopi vaso-vagali, crisi epilettiche, crisi respiratorie su base allergica, da scompensi metabolici, da attacchi di panico o altre situazioni di scompenso psichiatrico.
La stretta vicinanza con altre persone pone i viaggiatori a rischio di contagio di malattie infettive che possono andare dal semplice raffreddore a patologie gravi come fu nel caso della diffusione della SARS dopo il contagio avvenuto in un hotel di Hong Kong da parte di un medico cinese. è possibile natural- mente la trasmissione di influenza. Il mezzo aereo ha consentito alla pandemia da virus A/H5N1 di diffondersi rapidamente da un continente all’altro. É possibile anche la trasmissione di tubercolosi. L’OMS ha su questo argomento realizzato una pubblicazione fornendo linee-guida e riportando in dettaglio casi clinici avvenuti.
La qualità dell’aria e le norme di disinfezione e disinfestazione degli aerei sono regolamentate da leggi internazionali di sanità aerea. La materia è seguita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’Inter- national Civil Aviation Organization (ICAO). La ricircolazione dell’aria nei moderni aerei passa attraverso una serie di filtri 20-30 volte per ora. Negli aeroplani più nuovi, il riciclo dell’aria passa attraverso filtri d’aria di alta efficienza che catturano il 99,9% del particolato (batteri, funghi e i virus di dimensione maggiore).
da Walter Pasini | Dic 8, 2014 | Malattie, Rischi non infettivi
Le malattie cardio-vascolari (CV) sono la principale causa di morte e livello globale. Si stima che 17.3 milioni di persone muoiano annualmente di malattie cardio-vascolari, il 30% di tutte le morti: 7.3 milioni per malattie delle coronarie (le arterie che portano sangue ossigenato al cuore) e 6.2 milioni per ictus cerebrale (trombosi o e emorragia cerebrale). Può sembrare strano, ma i paesi a basso-medio reddito contribuiscono per l’80% di tutte le morti per malattie CV. Esse colpiscono uomini e donne allo stesso modo. Il numero delle persone che muoiono di malattie CV (cardiache e cerebro-vascolari) aumenteranno fino a raggiungere 23.3 milioni entro il 2030.
La maggior parte delle malattie cardio-vascolari può essere prevenuta attraverso il controllo dei principali fattori di Rischio: tabacco, scorretta alimentazione ed obesità, inattività fisica, ipertensione, diabete e dislipidemia. Ogni anno circa 9,4 milioni di morte (il 16.5% di tutte le morti) può essere attribuita a ipertensio- ne (pressione del sangue elevata), alla base del 51% delle morti per ictus cerebro-vascolare.
Le malattie cardiovascolari rappresentano un gruppo di malattie del cuore e dei grossi vasi che comprendono:
– malattie delle arterie coronariche (angina pectoris e infarto del miocardio)
– malattie cerebro-vascolari (a carico dei vasi del sangue che portano ossigeno al cervello)
– malattie arteriose periferiche (malattie a carico delle arterie che portano ossigeno agli arti inferiori)
– malattie congenite (malformazioni delle strutture del cuore esistenti alla nascita formatisi durante i vari stadi embrionali)
– malattia reumatica (danni carico del miocardio e delle valvole cardiache da febbre reumatica seguen- te ad infezione da streptococchi)
– trombosi venosa profonda ed embolia polmonare (distacco di parti del coagulo che si può formare nelle vene delle gambe e che si muove verso cuore e polmoni).
Il cuore delle donne
Per molti anni si è ritenuto che le malattie cardiovascolari fossero di pertinenza del sesso maschile. Era l’evidenza clinica a dirlo, ma anche i risultati delle indagini epidemiologiche condotte prevalentemente sui maschi. Si è visto però che ciò non era vero e che anche le donne, soprattutto dopo la menopausa, sono soggette come gli uomini a soffrire di malattie dell’apparato cardiovascolare. Durante l’età fertile, infatti, la donna ha una protezione che le deriva dagli estrogeni, ma quando tale protezione viene a meno, essa è soggetta, come l’uomo, agli effetti dei principali fattori di rischio: il fumo, la sedentarietà, la scorretta alimentazione con in più l’aggravante che il fumo produce effetti più devastanti nella donna in considerazione della minor dimensione dei polmoni.
La maggior incidenza della malattia coronarica nella donna può essere interpretato anche come una delle conseguenze delle profonde trasformazioni del ruolo della donna nella società moderna a livello socio-economico, antropologico e culturale rispetto ai modelli tradizionali seguiti nei millenni precedenti. L’inserimento nel mondo del lavoro, l’accumulo di impegni lavorativi e familiari, il diverso rapporto con l’uomo e la società non possono infatti esser stati vissuti senza un grande sforzo di adattamento e quindi senza grande stress e quindi stili di vita scorretti per la salute.
La malattia ischemica può perfino presentarsi in maniera più aggressiva nelle donne anche per le caratteristiche anatomiche delle coronarie che sono solitamente di calibro minore con talvolta vasi tortuosi, per la diversa conformazione anatomica della donna che presenta una minor massa muscolare con conseguente diverso volume di assorbimento dei farmaci. Le donne sono maggiormente predisposte a sanguinamenti a seguito di trattamenti con antiaggreganti piastrinici come aspirina e clopidogrel ed antiaggreganti impiegati nella terapia delle forme acute della malattia ischemica.
La cardiopatia ischemica nel sesso femminile si può presentare talvolta nella forma di dissezione coro- narica, spontanea o iatrogena dovuta a manovre dell’operatore durante angioplastica, che consiste nello slaminamento della parete del vaso con conseguente occlusione e nella donna in menopausa come sindrome di Tako-Tsubo. Nella donna si può avere un infarto a coronarie indenni, quadro gravato da mortalità significativa in fase acuta, spesso legato a stress acuto o a forti emozioni.
Il viaggio e la vacanza potrebbero essere interpretate dal medico come un’occasione per promuovere stili di vita sani: regolare esercizio fisico, corretta alimentazione, gestione dello stress, rapporto con l’acqua e l’acquaticità. Oggi è dimostrato che uno stile di vita sano sin dall’infanzia è importante per la prevenzione non solo delle malattie cardiovascolari, ma per gran parte delle malattie cronico-degenerative. Avere uno stile di vita sano significa:
– seguire regolarmente un’alimentazione varia e equilibrata, ricca di fibre (frutta, verdura, legumi, cereali, soprattutto integrali) e pesce, povera di grassi saturi (quelli di origine animale, carni rosse, salumi, formaggi) e non troppo “ricca” di calorie. La verdura e la frutta sono molto importanti perché oltre a essere ricche di fibre contengono anche vitamine e sali minerali come il potassio, elemento indispensabile per un buon funzionamento degli organi (un’alimentazione di questo genere era tipica dell’area mediterranea nei primi anni ’60)
– L’ipertensione rappresenta uno dei principali fattori di rischio. Occorre prima di tutto ridurre la quanti- tà di sale aggiunto alle pietanze: gli alimenti contengono già naturalmente una certa quantità di sale, pertanto aggiungerne altro non serve. La quantità di sale da cucina che si assume nella giornata non dovrebbe superare i 5 grammi al giorno. Bisogna tenere presente che la quantità di sale introdotto con l’alimentazione dipende sia dalla quantità di sale aggiunto nella preparazione dei cibi o presente nei cibi preconfezionati, sia dalla quantità del cibo che si assume.
– limitare il consumo di alcol (non più di un bicchiere di vino al giorno per le donne e un massimo di due per gli uomini); l’alcol, assieme ai grassi è il nutriente più calorico (1 g di alcol contiene 7 kcal, in media un bicchiere di vino rosso contiene circa 120 kcal; 1 cucchiaio di olio extravergine di oliva contiene 108 kcal)
– mantenere il peso forma, cioè l’indice di massa corporea compreso fra 18 e 24 kg/m2 (l’indice di massa corporea è un indicatore che considera insieme peso e altezza)
– svolgere una attività fisica regolarmente (camminare almeno 30 minuti al giorno a passo svelto oppure andare in bicicletta o svolgere una attività sportiva per almeno 3-5 volte la settimana)
– smettere di fumare
– imparare a gestire lo stress: vivere senza stress è difficile, però l’intensità più o meno forte dei fattori esterni che lo possono causare (rumore, difficoltà sul lavoro, problemi familiari o di salute) come pure la diversa capacità di reazione o di resistenza di ognuno di noi, ne possono facilitare o frenare l’impatto negativo sulla salute.
Il medico potrebbe utilizzare l’occasione del viaggio e della vacanza per prescrivere programmi di attività fisica: camminate, corsa, itinerari in bicicletta, nuoto, attività ginnica e di fitness.
Muoversi quotidianamente produce effetti positivi sulla salute fisica e psichica della persona. Gli studi scientifici che ne confermano gli effetti benefici sono ormai innumerevoli e mettono in luce che l’attività fisica:
– migliora la tolleranza al glucosio e riduce il rischio di ammalarsi di diabete di tipo 2;
– previene l’ipercolesterolemia e l’ipertensione e riduce i livelli della pressione arteriosa e del colesterolo;
– diminuisce il rischio di sviluppo di malattie cardiache e di diversi tumori, come quelli del colon e del seno;
– riduce il rischio di morte prematura, in particolare quella causata da infarto e altre malattie cardiache;
– previene e riduce l’osteoporosi e il rischio di fratture, ma anche i disturbi muscolo-scheletrici (per esempio il mal di schiena);
– riduce i sintomi di ansia, stress e depressione;
– previene, specialmente tra i bambini e i giovani, i comportamenti a rischio come l’uso di tabacco, alcol, diete non sane e atteggiamenti violenti e favorisce il benessere psicologico attraverso lo sviluppo dell’autostima, dell’autonomia e facilità la gestione dell’ansia e delle situazioni stressanti.
– produce dispendio energetico e diminuzione del rischio di obesità;
Naturalmente compito del medico è quello di prevenire un evento cardiaco acuto attraverso un controllo accurato delle condizioni di salute del viaggiatore, la compilazione del suo Passaporto Sanitario o di altro documento che contenga l’anamnesi del viaggiatore al fine di rendere più agevole il compito del medico straniero che dovesse prendersi cura di lui, l’informazione all’interessato ed ai familiari di quelli che potrebbero essere sintomi e segni indicativi di un’emergenza. Informazioni utili a tal riguardo sono come riconoscere i segni di un infarto del miocardio e cosa fare in caso di arresto cardiaco.
Riconoscere i sintomi dell’infarto
– Il sintomo classico dell’infarto del miocardio è il dolore al petto. il dolore nell’infarto del miocardio è variabile di intensità e di qualità. Nella maggior parte dei casi è di tipo severo, a volte intollerabile. Dura generalmente più di 30 minuti e spesso persiste per 1-2 ore. Il dolore è di tipo costrittivo, oppressivo, schiacciante. Il paziente lo descrive come un peso o una stretta, una pressione sul cuore.
– Il dolore è generalmente restrosternale (al centro del petto), ma può interessare la parte sinistra e/o destra del petto con predilezione per la sinistra. Spesso il dolore si irradia lungo il braccio sinistro sul lato ulnare fino al polso e alle dita (anulare e mignolo) o verso il collo e la mandibola. Si può irradiare anche alle spalle e talvolta al dorso. Altre volte il dolore viene avvertito a livello epigastrico (nella parte alta e centrale dell’addome) simulando una patologia gastrica. In certi pazienti, specie gli anziani ed i diabetici, l’infarto del miocardio acuto non si manifesta con il caratteristico dolore al petto, ma con segni di scompenso cardiaco (fatica a respirare e senso di marcata spossatezza).
– La sintomatologia comprende spesso pallore, sudorazione fredda, nausea e vomito, per attivazione di riflessi vagali, e senso di morte imminente. Può comparire dispnea (difficoltà di respiro).
– Il dolore è l’espressione dell’ischemia miocardica legata all’insufficiente apporto di ossigeno al cuore per l’ostruzione, parziale o totale, di un tratto di una o più coronarie (le arterie che nutrono il cuore). La situazione ischemica causa modificazioni elettrolitiche e metaboliche importanti a livello del muscolo cardiaco (il miocardio), situazione che può innescare aritmie gravi o gravissime, tali da richiedere talvolta l’immediata defibrillazione e la rianimazione cardio-respiratoria.
– L’ infarto del miocardio, è una emergenza medica. É necessario ricoverare immediatamente il paziente in ospedale chiamando il 118 per l’invio di un’ambulanza.
L’infarto del miocardio, con le sue complicazioni aritmiche, è una delle cause più frequenti di morte improvvisa, che naturalmente può essere dovuta ad altre cause (malattie congenite, ictus cerebrale, aneurisma aortico, ecc.)
La morte cardiaca improvvisa ha una consistente rilevanza epidemiologica e comporta una notevole perdita di vita umane. L’arresto cardiaco è dovuto in oltre il 50% dei casi a fibrillazione ventricolare e tachicardia ventricolare suscettibili di terapia elettrica (defibrillazione). Se non si interviene con manovre di rianimazione entro 10 minuti dall’esordio, l’arresto cardiaco produce danni cerebrali irreversibili.
Le manovre da attuare in caso di arresto cardiaco sono state codificate a livello nazionale (Italian Resusci- tation Council) ed internazionale. Esse consistono in quattro steps successivi tutti indispensabili, chiamati metaforicamente “Catena della sopravvivenza” per indicare che gli interventi devono esser fatti in successione e che il successo di ognuno dipende dalla corretta esecuzione del precedente e del successivo. Oltre alla sequenzialità, ogni intervento deve essere eseguito con tempestività.
- Riconoscimento precoce dell’arresto cardiaco e attivazione immediata del sistema di soccorso
- Inizio precoce della rianimazione cardio-respiratoria
- la defibrillazione precoce
- l’inizio precoce del trattamento avanzato e trattamento post-rianimatorio standardizzato.
da Walter Pasini | Dic 8, 2014 | Malattie, Rischi non infettivi
Oltre a prevenire la morbilità nel viaggiatore, il medico deve cercare di prevenire la mortalità. Poichè questa nel viaggiatore è dovuta principalmente a malattie cardiovascolari e ad incidenti, soprattutto stradali, è su questi due fronti che egli dovrà impegnarsi con raccomandazioni adeguate. La principale causa di morte nei viaggiatori resta però quella degli incidenti: principalmente stradali ma anche legati ad attività ricreative come la balneazione (annegamenti, traumi da tuffi).
Gli incidenti stradali possono verificarsi sia con la propria auto, specie durante il viaggio di andata quando la dimensione onirica, l’entusiasmo per una nuova esperienza può allontanare il guidatore dal senso di realtà o durante il viaggio di ritorno quando prevale la stanchezza e la fatica. Un viaggio nei paesi europei può essere effettuato in auto, con la propria vettura o noleggiandone una all’arrivo. Il rischio degli incidenti stradali deve pertanto essere tenuto in considerazione a causa delle maggiori difficoltà che comporta la guida in un paese straniero. Alcuni studi hanno rilevato che gli incidenti stradali sono comuni nei viaggiatori per: mancanza di familiarità con l’autovettura o il motociclo, scarso rispetto del codice stradale da parte della popolazione locale, eccesso di velocità, mancanza di visibilità, manto stradale sconnesso, curve mal disegnate, maggior propensione all’uso di alcool. Occorre quindi dare ai propri assistiti le seguenti raccomandazioni:
– Fate un’assicurazione-malattia completa che copra anche i traumi seguenti un incidente.
– Munitevi di una patente internazionale oltre alla vostra patente di guida.
– Informatevi sulle norme stradali, sullo stato dei veicoli presi in affitto e sullo stato delle strade.
– Prima di affittare una vettura, verificate lo stato dei pneumatici, delle cinture di sicurezza, la ruota di scorta, i fanali, i freni, ecc.
– Informatevi sulle regole non scritte della circolazione: in certi paesi, per esempio, ci si serve abitualmente del clacson o si fa un segnale luminoso prima del sorpasso.
– Siate particolarmente attenti in un paese dove si viaggia sul lato opposto a quello del proprio paese.
– Non avventuratevi in strade che non conoscete e che non sono illuminate.
– Non circolate in motorette, motociclette o biciclette.
– Non guidate dopo avere bevuto alcool.
– Rispettate sempre i limiti di velocità.
– Usate sempre le cinture di sicurezza.
– Attenzione agli animali che possano invadere la strada.
da Walter Pasini | Dic 8, 2014 | Malattie, Rischi non infettivi
Ogni anno sono in crescente aumento le persone che durante le vacanze praticano sport subacquei in immersione durante il bagno in mare. Infatti, il fascino dell’universo subacqueo attira sempre nuovi adepti e appassionati, che, tuttavia, non sono sempre altrettanto esperti dell’ambiente sottomarino ed osservanti le regole della prudenza e della cautela, elementi indispensabili in un ambiente da sempre pericoloso per l’uomo, quale è il mare. L’incoscienza e l’imprudenza sono spesso la causa di quegli eventi drammatici che tutti gli anni, soprattutto nel periodo estivo, appaiono sulle pagine dei quotidiani o vengono riferiti dai mezzi radio-televisivi e che, per un motivo o un altro, colpiscono tragicamente gli incauti bagnanti. Molteplici sono gli aspetti fisiologici dell’immersione in apnea e dell’immersione con bombole, come molteplici sono i dettagli e gli accorgimenti tecnici caratteristici di ciascuna di queste discipline sportive, sia quando esse vengono praticate per diletto, sia quando vengono pratica- te a livello agonistico. Il mancato rispetto o addirittura lo stravolgimento dei suddetti principi tecnico-comportamentali del subacqueo sono il primo e fondamentale movente, la causa scatenante di quella tragica ed irreparabile reazione a catena che può condurre fino alla morte.
I fattori di rischio per chi pratica a scopo ricreazionale attività subacquea sono la profondità dell’immersione, la durata dell’immersione, la rapida ascensione, il numero di immersioni effettuate, l’intensità dello sforzo, l’esposizione ad alta quota subito dopo l’immersione e la variabilità individuale. I subacquei devono rimanere sempre ben idratati e riposati, immergersi entro i limiti dell’allenamento effettuato e seguire le indicazioni specifiche per il luogo e l’ambiente in cui si trovano. L’attività subacquea è un’abilità che richiede un serio allenamento specifico ed una certificazione che ne attesti le capacità. Nella valutazione del grado di fitness del subacqueo il medico deve valutare i parametri cardiovascolari, tenuto conto che anche immersioni a bassa profondità comportano il rischio di bradicardia marcata e aritmia, la funzionalità dell’apparato respiratorio, malattie croniche preesistenti come il diabete mellito, problemi psicologici (stati d’ansia, inclusa la presenza di attacchi di panico, nell’anamnesi).
I barotraumi dell’orecchio sono la lesione più comune nei subacquei. Nella discesa l’incapacità di equilibrare i cambiamenti di pressione all’interno dello spazio dell’orecchio medio crea un gradiente di pressione attraverso il timpano che può causare sanguinamento o accumulo di fluido nell’orecchio medio così come lo stiramento, la rottura del timpano e delle membrane che coprono le finestre dell’orecchio interno.
L’espressione più severa della patologia legata alle immersioni subacquee è la malattia da decompressione che si manifesta nell’ ascensione. La respirazione sotto pressione provoca lo scioglimento di un eccesso di gas inerte (azoto) nei tessuti corporei. La quantità dissolta aumenta con la profondità e la durata dell’immersione. Quando il subacqueo risale in superficie l’eccesso di gas disciolto deve essere eliminato con la respirazione attraverso la corrente sanguigna. A seconda della quantità dissolta ed il tempo dell’ascensione, una parte di gas può supersaturare i tessuti, separarsi dalla soluzione e formare bolle che si spostano con la corrente sanguigna e causare i segni ed i sintomi della decompressione fino ad includere l’embolia polmonare. Tali sintomi sono: dolore alle articolazioni, torpore di coscienza, tosse, dispnea, senso di fatica estrema, vertigini, cambiamenti di personalità, blocco della funzione intestinale e vescicale.
Il rischio di sviluppare la malattia da decompressione aumenta quando i subacquei sono esposti troppo presto ad altitudini a seguito di un’immersione. Dopo una singola immersione essi dovrebbero aspettare almeno 12 ore prima di prendere un aereo e almeno 18 ore dopo immersioni multiple.