Immigrati

L’Italia ha conosciuto negli ultimi decenni un’immigrazione di massa da parte di cittadini provenienti per lo più da paesi di basso e medio reddito. Gli immigrati superarono gli emigrati intorno al 1975, per poi diventare flusso permanente, fiume che si è ingrossato sempre più con gli anni conoscendo momenti drammatici come quello legato all’esodo dall’Albania e quello recente dalla Tunisia e dagli altri paesi nord-africani. Quello dell’immigrazione  è uno dei fenomeni più importanti sul piano antropologico, demografico, economico e sociale del tempo in cui viviamo. Nell’affrontare i problemi sanitari legati all’immigrazione di migliaia di clandestini dal Nord Africa bisogna distinguere tra quelli legati all’emergenza dovuta alla presenza contemporanea di migliaia di nordafricani in poche centinaia di metri quadrati da quelli legati alla presenza di milioni di immigrati sul territorio nazionale.

Considerando  l’impatto che i milioni di immigrati hanno sulla sanità pubblica occorre considerare  vari aspetti tra cui la prevenzione di malattie infettive vecchie e nuove e la gestione della sanità pubblica negli ambulatori dei medici di medicina generale, nei consultori materno-infantili e negli ospedali. Contro malattie come difterite, poliomielite, morbillo, epatite B, occorre mantenere molti alti i tassi di copertura vaccinali dei nostri bambini. Contro la tubercolosi, il problema è più complesso ed ogni intervento non può prescindere dal censimento sanitario della popolazione immigrata attraverso un adeguato screening che includa una Mantoux ed un RX del torace. Vi sono poi, per la popolazione italiana, rischi per la salute legati direttamente o indirettamente a tutti i reati che clandestini nordafricani o di altri continenti potrebbero compiere per mancanza di lavoro, frustrazione, ricerca di guadagni facili, infatuazione per modelli di vita occidentali. Esiste un rapporto molto stretto tra violenza subita e salute, sia come conseguenza diretta della violenza sia nei suoi aspetti di medio e lungo termine, specie a livello psico-patologico. Un intervento fondamentale di sanità pubblica dovrà essere il censimento sanitario della popolazione immigrata, clandestina o regolare, attraverso screening mirati in prevalenza al controllo della TB, malattia altamente contagiosa, ad alta endemia nei paesi africani e dell’Est Europa. Altre malattie da sorvegliare sul piano epidemiologico sono la malaria (nel 2011 la Grecia ha riportato varie decine di casi in aree in cui massiccia è la presenza di immigrati clandestini provenienti da India, Pakistan ed altri paesi con trasmissione di ma- laria), la meningite meningococcica e l’epatite A, malattie contro le quali esistono vaccini sicuri ed efficaci. Il medico deve considerare però anche tutti gli aspetti legati alla salute degli immigrati, considerando che tutti gli uomini devono avere diritto alla salute e al benessere. Sono molti gli aspetti da considerare a tal proposito. Uno dei più importanti è il diritto alla salute nei luoghi di lavoro per la popolazione immigrata, garantendo loro condizioni di salute e di sicurezza negli ambienti lavorativi in fabbrica, nelle campagne ed anche nei laboratori artigianali considerando in particolare le condizioni di sfruttamento cui sono sottoposti uomini e donne cinesi da parte di gruppi di loro connazionali. Grande attenzione deve essere data alla salute della donna, specie nei momenti fondamentali della sua vita quale è la maternità, ed alla salute dei bambini garantendo loro un adeguato calendario vaccinale e il diritto allo studio, senza alcuna forma di discriminazione. Un aspetto molto importante nella salute della popolazione immigrata riguarda la salute mentale considerando la vulnerabilità  provocata dallo stress del progetto immigratorio, dalle difficile condizioni di vita e di lavoro, dalla possibile frustrazione per non aver raggiunto gli obiettivi, per le barriere linguistiche e culturali. L’integrazione della popolazione immigrata si raggiunge anche sul piano dei diritti e dei doveri che popolazione residente e immigrata sono tenuti a pretendere e riconoscere nell’ambito di una solidarietà esistenziale importante sul piano della vivibilità e della crescita comune.

La crescente presenza di immigrati sul territorio italiano pone al medico e alle strutture di assistenza il problema della tutela della donna immigrata e dei bambini. Cresce infatti sempre più tra gli immigrati, per le ricongiunzioni e per altri motivi, la presenza femminile ed infantile. La tutela della maternità e del parto assumono quindi importanza crescente così come la tutela dell’infanzia attraverso le vaccinazioni e l’assistenza pediatrica.

Immigrati che ritornano in patria per visite a parenti ed amici (VFRS)

A seguito dell’immigrazione di massa sul territorio italiano si è definita negli ultimi anni una nuova categoria di viaggiatori a rischio.  Si tratta di quelle persone che, immigrate da tempo in Italia, intendono recarsi in patria per visitare amici e parenti. Il termine anglosassone che li definisce è VISITING FRIENDS AND  RELATIVES (VFRs).

Queste persone, ma più ancora i loro figlioli, magari nati in Italia, sono esposti solitamente ad una serie di rischi sanitari legati ad una serie di ragioni:

–    non sono consapevoli del rischio di contrarre malattie infettive

–    non si recano dal medico prima di partire a causa di barriere culturali o economiche

–    non hanno fiducia o dimestichezza con le strutture sanitarie italiane

–    organizzano il viaggio all’ultimo minuto

–      si recano in destinazioni ad alto rischio abitando in case malsane e nutrendosi di acqua e cibo di dubbia qualità,

–      credono erroneamente di essere immuni nei confronti di malattie come malaria, tubercolosi, epatite, febbre tifoide, colera.

Oltre il 50% dei casi di malaria importati in Italia sono dovuti a questa categoria di viaggiatori. Negli Stati Uniti, nel 2008, tale percentuale era del 65%. Secondo il sistema di sorveglianza GeoSentinel, gli immigrati che ritornano in patria per periodi più o meno lunghi hanno un rischio otto volte superiore rispetto ai turisti. Studi effettuati nel Regno Unito hanno dimostrato che i VFRs che ritornavano in Africa occidentale avevano una probabilità dieci volte superiore agli inglesi. Un errore abituale commesso da questa categoria di viaggiatori è quella di sottovalutare il rischio e di considerarsi immuni. In realtà così non è poiché l’immunità, posto che vi fosse, è perduta e non lo è soprattutto in quegli immigrati di seconda generazione, nati nel paese dove i loro genitori erano giunti per attuare il loro pro- getto di vita. I VFRs devono essere pertanto incoraggiati non solo a fare la chemioprofilassi, ma anche ad adottare tutte le misure atte a prevenire la puntura di zanzare (uso di zanzariere, insetticidi nell’ambiente, uso di insetto-repellenti e di vestiario protettivo). Oltre alla malaria, il medico dovrà considerare il rischio di tutte le altre patologie possibili e proporre pertanto, a seconda della destinazione e dell’area visitata la vaccinazione contro febbre tifoide, colera, epatite A e B, meningite meningococcica. Considerare anche il rischio ed anche la vaccinazione contro la varicella per gli immigrati dall’India, dal Sud Est Asiatico e dall’America Latina. Questi viaggiatori possono essere suscettibili poiché l’infezione compare nelle regioni tropicali ad un’età maggiore rispetto a quelle temperate e la malattia si può manifestare in forme più gravi. Il ritorno  a casa per un periodo breve o lungo può comportare problematiche di tipo psicologico e talvolta psichiatrico per le persone che hanno vissuto all’estero per un periodo di tempo prolungato. Dipende dall’esito del progetto immigratorio, se è stato un successo o un fallimento. Dipende da come è stato vissuto dalla persona che ritorna e dagli amici e dai parenti che li ricevono nella vecchia casa. In qualche giovane o negli immigrati che hanno vissuto all’estero per un periodo lungo, si può manifestare il disagio nello scoprire le proprie radici ed un forte desiderio di ritornare in Italia che crea imbarazzo e tensioni nel rapporto con la famiglia di origine. In altri un senso di perdita, di lutto quando loro stessi e i loro parenti si rendono conto che le cose sono cambiate, che nulla è così come prima nei loro rapporti, poiché le loro differenti esperienze li hanno separati, così come nel contesto sociale e politico del paese o nei rapporti con gli abitanti del villaggio o del quartiere. Queste situazioni possono portare a un complesso di sentimenti di sorpresa, frustrazione, confusione, ansia, depressione definito come shock culturale inverso o di ritorno che può essere concepito come una sindrome da rientro amplificata dalla durata del viaggio (in questo caso anni di permanenza all’estero) e dalle differenze culturali tra i due ambienti. Qualche volta anche gli amici e parenti possono essi stessi sentirsi feriti e sorpresi dalle reazioni di quelli che sono tornati o per la diversa mentalità dei loro congiunti immigrati.

Introduzione

Il medico che si trovi a visitare e consigliare viaggiatori prima della partenza non può prescindere dal considerare la tipologia del viaggiatore e valutare lo stato di salute prima della partenza. Bambini, anziani, donne gravide, personale di organizzazioni umanitarie o immigrati che vogliano tornare in patria per visitare amici e parenti hanno bisogno di una valutazione del tutto specifica. In questo capitolo affronteremo dunque sinteticamente alcune tra le principali categorie di viaggiatore per offrire ai colleghi alcuni spunti di riflessione sulle loro caratteristiche e necessità.

Lavoratori all’estero

I lavoratori all’estero per attività nel campo dell’edilizia e in tanti altri settori sono esposti, oltre ai rischi tradizionali legati al tipo di lavoro e alle specifiche mansioni che svolgono, anche a quelli legati al clima, alle condizioni igienico-sanitarie  del paese, alle caratteristiche dell’ambiente, alla presenza di malattie infettive. Il lavoratore vive spesso in condizioni abitative disagevoli. L’area di residenza lavorativa può essere urbana o extraurbana. Le condizioni  abitative possono essere in muratura, legno, fango, vi può essere o no disponibilità di servizi igienici, vi può essere presenza di vettori di infezione.

L’analisi  delle condizioni di vita di quel lavoratore deve comprendere la  variabile sicurezza alimentare, la disponibilità cioè di acqua e cibo sicuri, la disponibilità di servizi igienici e di smaltimento dei rifiuti. Da considerare poi la disponibilità di un pronto soccorso vicino al luogo di lavoro, di un ospedale dotato di strutture diagnostiche e curative idonee in caso di bisogno.

Da considerare con la massima attenzione è il rischio infortuni in considerazione dell’organizzazione del lavoro, della tecnologia e delle condizioni di sicurezza presenti in quel contesto. Vi sono poi condizioni di stress psicologico  legato alla mancanza dei famigliari, al rischio di malattie sessualmente trasmissibili per l’eventuale pratica di sesso mercenario.  Il datore di lavoro ed il medico competente dovranno quindi censire accuratamente i rischi legati al tipo di lavoro e alla mansione in quella specifica situazione ambientale con quella specifica tecnologia ed organizzazione del lavoro (operai specializzati e tecnici d’impianto saldatura, lavori in altezza, esposizione a fattori chimici e sostanze tossiche) e conoscere la situazione epidemiologica di quell’area del mondo e di quella specifica realtà locale. Non è solo l’ENI, la grande azienda di stato a portare lavoratori italiani all’estero, ma una serie di aziende medio-piccole e sono tanti i paesi di tutti i continenti ove i nostri connazionali si recano. Il medico del lavoro ed il datore di lavoro hanno l’obbligo di raccogliere il maggior numero possibile di informazioni per realizzare una strategia atta a tutelare il lavoratore in quel determinato paese dove il lavoratore presterà la sua opera.

I datori di lavoro e il medico competente hanno il dovere di conoscere la legislazione a tutela dei lavoratori ed i rischi ambientali e professionali per i lavoratori italiani all’estero correlabili alla situazione sanitaria in quel determinato paese. I rischi del lavoro all’estero sono dunque legati al comparto produttivo di appartenenza dell’azienda (Costruzioni, Metalmeccanico, Petrolifero, Chimico Farmaceutico, Elettrico, …) e alla mansione specifica, al rischio fisico, chimico e biologico essendo questo amplificato per i rischi legati al soggiorno in paesi dove possono essere endemiche malattia come la malaria, la tubercolosi, la meningite meningococcica, l’epatite A, B, la febbre tifoide, il colera.

Tra i compiti del medico del lavoro vi è dunque la corretta profilassi pre-esposizione al rischio biologico lavorativo ed ambientale e la capacità professionale di far diagnosi e prestare cure mediche in caso il lavoratore contragga una malattia infettiva. La protezione da agenti biologici è trattata nel titolo VIII del decreto legge del 19.9.1994 n.626 e dalle direttive 8939, 89654, 89855, 89656, 90269, 90270, 90394 della CEE riguardanti il miglioramento della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro. La direttiva 391 del 1989 intendeva uniformare le normative relative alla tutela dei lavoratori nei luoghi di lavoro in Europa. La direttiva 679 del 1990 definiva gli agenti biologici e li classificava in base al livello di pericolosità fornendo anche la misura dei livelli di esposizione massima. Nell’art. 14, allegato 4 si dava l’indicazione di avere un registro degli esposti che doveva essere conservato per almeno 10 anni.

Militari in missione

L’Italia sta continuando la sua missione militare ed umanitaria in Afghanistan pagando un prezzo elevato in vite umane per bonificare un territorio infestato dal terrorismo internazionale. Nel corso della missione internazionale sono stati 52 militari morti. Negli anni passati l’Italia si era distinta per interventi di carattere umanitario a favore di popolazioni provate da conflitti bellici, guerre civili, carestie, alluvioni, terremoti. I militari italiani sono intervenuti in Marocco (1960), in Vietnam (1979) nel Sinai (1982), in Libano (1982) in Mozambico (1985), nel Golfo Persico (1990), in Somalia (1992), in Albania (1997), e più recentemente in Iraq ed in Afghanistan.

I militari italiani stanno configurandosi sempre più come viaggiatori internazionali e sono esposti, oltre al rischio delle malattie tipiche dell’area geografica in cui operano, a quelli legati alla vita di comunità, al soggiorno in ambienti rurali, a quelli tipici della vita militare e ai rischi connessi alle operazioni di soccorso. Gli interventi delle nostre Forze Armate sono avvenuti in paesi la cui condizione igienico-sanitaria era oltremodo precaria con elevata mortalità e morbilità per malattie infettive. La vita militare si svolge in comunità,  spesso in condizioni di sovraffollamento. L’attività militare presuppone un notevole impegno psico-fisico, capacità di autocontrollo e di gestione dello stress.

I militari in missione devono essere considerati una categoria particolare di viaggiatori avendo peculiarità che la contraddistingue. La tutela della salute dei militari in missione all’estero spetta ai medici militari delle diverse  Forze Armate tutti facenti capo comunque al Ministero della Difesa. Rispetto ai civili, la tutela sanitaria dei militari presenta le seguenti differenze: l’aderenza  alle vaccinazioni e all’eventuale chemioprofilassi antimalarica non è facoltativa, ma obbligatoria in quanto volta a tutelare non solo il singolo militare, ma tutta la compagnia; l’obiettivo della tutela sanitaria rientra nel piano d’azione militare volto ad assicurare il successo dell’operazione militare; le persone con problemi sanitari particolari non vengono arruolati per la missione e non vi è dunque un counselling individuale ed un adattamento dei programmi vaccinali a seconda delle condizioni di salute dei singoli viaggiatori come nel caso dei civili o consigli specifici a seconda di età, sesso e condizioni di salute; la vita del militare si svolge in baracche, in condizioni di stress per la presenza di nemici, per l’uso di armi da fuoco, per operazioni notturne, per la partecipazione a combattimenti.

I rischi sanitari per i militari in missione dipendono dalle condizioni igienico-sanitarie del paese ove si recano, dalle condizioni climatiche ed ambientali, dalla qualità dell’approvvigionamento idrico, dal tipo di alimentazione, dal tipo di operazioni di soccorso o di controllo del territorio, dalla tipologia degli alloggi, dalla qualità della strutture mediche di riferimento, dalla possibilità di usufruire di stazioni di telemedicina, dalla possibilità di evacuazione verso ospedali attrezzati in caso di necessità, dalla copertura vaccinale e dalla profilassi antimalarica e dalla prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse.

I militari italiani vengono coperti attraverso un programma vaccinale che comprende oltre alle vaccinazioni di routine quella contro la polio, l’epatite A, il colera, la febbre tifoide e la meningite meningococcica. Per quanto riguarda la profilassi antimalarica, nei militari, gli Stati Uniti prediligono l’uso della doxiciclina rispetto alla meflochina (per i possibili effetti collaterali sul s.n.c) e ad altri farmaci antimalarici.

Raduni di massa

I raduni di massa sono grandi assemblee di persone raccolte in uno specifico luogo, per specifici scopi, per un periodo di tempo limitato. Essi comprendo eventi sportivi ( come i prossimi campionati del mondo di calcio in Brasile, i Giochi olimpici come quelli disputati due anni fa a Londra, concerti, festival musicali, mostre, fiere, eventi economici e culturali come potrebbe essere la prossima EXPO di Milano del 2015, raduni religiosi e pellegrinaggi ( come quello a La Mecca per la religione islamica).

Con l’aumento dei viaggi aerei e con la globalizzazione, i raduni di massa, mentre variano in dimensioni, natura e scopi, presentano diverse sfide alla gestione della sanità pubblica. I rischi alla salute e alla sicurezza possono aumentare  quale risultato della concentrazione di persone in eventi al chiuso o all’aperto. I raduni di massa possono mettere a prova le capacità di tutela della salute pubblica della comunità ospitante, della città e della nazione.

I fattori di rischio associati ai raduni di massa comprendono:

–      Afflusso di grandi numeri di visitatori in un breve periodo di tempo e conseguenti condizioni di sovraffollamento

–    Visitatori che provengono da aree che differiscono grandemente in geografia e cultura

–    Possibilità di introduzione, disseminazione e esportazione di malattie trasmissibili

–    Impegno supplementare richiesto alle strutture sanitarie e difficoltà per queste di farne fronte

–    Altri rischi che nascono dalla natura di alto profilo di certi eventi, inclusi i rischi per la sicurezza.

–      La partecipazione  a eventi che comportano una grande affluenza di gente deve essere pianificata tenendo conto di tutte le caratteristiche di quell’evento e dei rischi connessi.

L’OMS ha organizzato numerosi work-shop tecnici per affrontare gli aspetti sanitari realtivi ai raduni di massa e ha prodotto linee-guida disponibili on line http://www.who.int/csr/Mass_gatherings2.pdf.  Le linee-guida riguardano la valutazione dei rischi di sanità pubblica legati ai raduni di massa, la valutazione della capacità dei sistemi esistenti e dei servizi in previsione dell’insorgenza di problemi di sanità pubblica, il rafforzamento dei sistemi di controllo per la biosorveglianza, la risposta alle emergenze, l’individuazione precoce di epidemie e la conseguente risposta, l’organizzazione dei servizi di laboratorio, la comunicazione di massa, la preparazione per il potenziale controllo quarantenario e la gestione dei casi mortali.

Un tipo particolare di raduno di massa è rappresentato dal pellegrinaggio annuale dei mussulmani alla Mecca e a Medina in Arabia saudita. Per dimensioni e per coinvolgimento internazionale, l’Hajj è un pellegrinaggio religioso assolutamente unico. Esso viene intrapreso dai mussulmani almeno una volta nella vita come atto di devozione. L’Umrah è un pellegrinaggio simile con meno richieste prescrittive, che può essere intrapreso in qualsiasi tempo. Durante l’Hajj, più di 2 milioni di mussulmani provenienti da ogni parte del mondo si riunisce per compiere i riti. Il risultante sovraffollamento comporta lesioni legate alla ressa, rischio di colpo di calore quando l’avvenimento si verifica durante i mesi estivi, incidenti stradali, eventi cardiovascolari acuti. Il grande sovraffollamento comporta rischi di diffusione di epidemie. In 14 secoli di storia, si sono verificate importanti epidemie di peste e di colera. Negli ultimi decenni si sono verificate importanti epidemie di meningite me- ningococcica, influenza ed altre malattie infettive. Le estese epidemie di meningite meningococcica hanno indotto le autorità del paese a richiedere obbligatoriamente la vaccinazione contro i sierotipi A, C, W135 e Y (coniugato o polisaccaridico). Il Ministero della sanità dell’Arabia Saudita richiede a tutti i viaggiatori pro- venienti da paesi che riportino casi di polio, di essere vaccinati con un vaccino antipolio orale (OPV) almeno 6 settimane prima della richiesta di un visto per entrare. Il vaccino contro la febbre gialla è un obbligo per i pellegrini che provengono da aree e paesi con rischio di trasmissione di febbre gialla.